ethics television
Ca’ Pesaro
Galleria Internazionale d’Arte Moderna

Sala 10

4 giugno
21 agosto
2011

Anita Sieff
Psyche

[english >>>]

Il Sentire è il Parametro del Contemporaneo

di Marco Ferraris

“Il sentire come parametro del vivere contemporaneo” è la frase di Anita che mi ha fatto innamorare di lei.

La soggettività è una conquista del Novecento. Io credo che a livello di percezione solo l'umano moderno sia in grado di vivere questo stato. Il significato del portato è enorme perché dischiude all'impermanenza della dimensione psicologica e all'azzardo della proiezione soggettiva. La crisi nasce dall'impossibilità che ha la soggettività di trovare riferimenti esterni perché non ha ancora imparato ad usare il sentire come parametro. Il sentire non pretende di essere omologato, perché non può confrontarsi. La soggettività non trova applicazione sociale nella condivisione di appartenenze e deve quindi misurarsi con la coscienza di sé e questa è una dimensione anomala per l'idea preconcetta che abbiamo di comunità. La chiave e conquista del contemporaneo è dischiusa in questa zona così impraticata, così marginale da quelle che sono le norme di socializzazione.

Il mito è quell'esperienza riconosciuta oggettivamente e riconoscibile soggettivamente. Per questo è una dimensione comune ed è ancora uno strumento analogico importante. Ma ora il mito diventa la piattaforma del vivere, perché la nostra società ci impone un ritmo mitico senza la sostanza intrinseca al mito poiché le istanze che si dischiudono sono meramente consumistiche. Il problema del contemporaneo è che confondiamo i nostri desideri, un po' anche per questioni di budget, con il ritmo impostoci dai mass media di dover appartenere al grande mito collettivo, pena il farci prendere da una tristezza ontologica per incapacità di rientrare in questa proiezione. Non è un caso che uno dei brand più vincenti, utilizzi come statement la frase “just do it” ma paradossalmente ci inviti alla libertà inchiodandoci all'atto consumistico dell'identificazione con il ­marchio. Come se non bastasse un altro noto stilista, utilizzando in modo più sofisticato l'idea di libertà, immette nel mercato scarpe mutuate dall'esercito polacco semplicemente contraddistinguendole con un semplice cerchio rosso e rendendole riconoscibili agli happy few come merce ­speciale. Il percorso psicologico è questo: “Io ho il tempo e la sofisticazione di riconoscere queste operazioni intellettuali e tu il denaro per comperarle nella prospettiva di essere riconosciuto dalla cerchia degli happy few ed appartenere così di diritto al mito contemporaneo.” È tuttavia importante capire cosa stia dietro all'idea che noi abbiamo del mito e a ciò che promette. Il mito classico greco era un avvicendamento di varie fasi del sentire che portava a una comprensione globale del tema in esame. Il mito contemporaneo consumistico si fonda sull'inappagato, su quel frammento che non vuole essere in relazione con il tutto. Come dice Barbara Kruger: “I shop therefore I am” non risolve la dimensione esistenziale dell'essere. Eppure vivere mitologicamente, come se ogni istante fosse paradigmatico, aprisse differenti porte di un mondo a noi sconosciuto, è fondamentale. L'artista è lì, in quel luogo solitario ma eroico come un pioniere. Ritengo che lo sia sempre stato nel corso degli anni perché ha sempre prestato la sua voce alla soggettività del sentire, la sua lirica all'eccedenza dei sentimenti.

Il problema dell'artista paradossalmente però è il bisogno di riconoscimento che non può che essere riflesso da un riconoscimento economico dello stesso sistema dell'arte. Una forzata compressione dentro ad uno schema che ne legifera i confini e le modalità di applicazione, dove il sentire si allinea alla convenienza di un volere oggettivo lontano dalla sua naturale origine soggettiva, implodendo a volte in una sorta di farsa. L'artista non deve volersi riconoscere, è questo il suo limite. Deve bastarsi. O forse il sistema dell'arte non deve cercare di espandersi troppo nelle dimensioni di mercato perché con i mass media il livello di comunicazione non può che pretendere di essere mitico per l'urgenza di attrarre il più grande pubblico. Il portato mitico di un artista non sta nella sua capacità di proiettarsi come universo di valori per essere inglobato nella comunicazione distorta dai media. Può solo ritirarsi e sperare di vivere nei cuori di quei pochi che risuonano ancora perché hanno coltivato e custodito gelosamente la loro intimità, la loro anima. La loro soggettività.

Quando la soggettività diventa l'ardire di esprimere la propria passione allora è il dispositivo più interessante che possa esserci. È quello che fa scattare un coordinamento di processi psichici con quelli fisici in termini di sincronia e non di casualità. Sincronicità significa allora simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi esterni che paiono paralleli significativi nella condizione momentaneamente soggettiva e, in certi casi anche viceversa. Il fenomeno della sincronicità come afferma Jung è la risultante di due fattori: “1) una immagine inconscia si presenta direttamente (letteralmente) o indirettamente (simboleggiata o accennata) alla coscienza come sogno, idea improvvisa o presentimento; 2) un dato fatto obiettivo coincide con questo contenuto.” Come si crea la coincidenza? La rappresentazione coincidente prende le mosse dall'inconscio e rientra quindi tra quelle idee che sono indipendenti da noi e sono causate da altro e non dal proprio pensiero. Anche Goethe pensa in termini magici riguardo agli eventi sincronistici. “Noi tutti abbiamo in noi un che di forze elettriche e magnetiche, e come il magnete esercitiamo un potere di attrazione o di ripulsione a seconda che veniamo in contatto con qualcosa di uguale o disuguale.”

La causalità che nel nostro mondo occidentale ha tanta importanza si è conquistata questo ruolo primario solo negli ultimi secoli oscurando ­sempre più un mondo fondato sui valori della metafisica. Da tempi immemorabili esiste invece nella filosofia cinese il concetto del Tao, che potremmo intendere come senso. Il Tao, senso, permea il pensiero cinese e ne produce una concezione del mondo totalmente diversa dalla nostra, al limite di una concezione fenomenica. La realtà per loro è una dimensione concettuale perché nelle cose stesse si cela una sorta di ordine implicito.

E mi viene da fare un parallelo con la precedente mostra alla Fondazione Querini Stampalia che Anita Sieff ha chiamato Ordine di senso in onore a questo vuoto che implica la potenzialità germinativa del nostro sentire e del nostro agire.

 
[italiano >>>]

Feeling is the Parameter of Contemporarity

by Marco Ferraris

“Feeling is the parameter of contemporary living” is Anita's statement which made me fall in love with her.

Subjectivity is an achievement of the twentieth century. I believe that on a perceptional level only modern humankind is able to experience such a condition. Its significance is enormous, as it leads to the impermanence of the psychological dimension and to the hazard of the subjective projection. The crisis arises from the impossibility for the subjectivity to find external points of reference, as it has not learnt yet to use feeling as the parameter. Feeling does not expect to be homologated because it cannot be compared. Subjectivity cannot find a social application in sharing affiliation, and needs therefore to contend with one's own awareness, an anomalous dimension because of the prejudiced idea of the community we share. The key to the contemporary and to its attainment is found in such an unfulfilled area, so peripheral to the norms of socialization.

Myth is the one experience objectively recognized and subjectively acknowledged; for this reason it represents a communal value and still is an important analogical instrument. Now the myth becomes the foundation of life, as our society forces on us a mythic rhythm, deprived of the myth's inherent substance, as the requirements that open up to us are merely consumerist. The problem with the contemporary is that we confuse our desires, partly also for budget reasons, with the rhythm laid upon us by the mass media, the need to belong to the great collective myth, or we risk being seized by an ontological sadness due to our inability to participate in this projection. It is not a coincidence that one of the most successful brands chose as a motto the statement “just do it,” paradoxically inviting us to free ourselves while binding us to the consumerist act of identification with the brand itself. To top it all, a famous stylist employs the idea of freedom in an even more sophisticated manner: he markets shoes derived from the Polish Army ones, simply characterizing them with a red circle, so that the “happy few” can identify them as special merchandise. The psychological path follows this statement: “I have the time and refinement to recognize such intellectual processes; you have the money to buy the shoes, and the prospect to be identified by the ‘happy few' and thus rightly participate in contemporary myth.” Nevertheless, it is important to understand what lies behind our idea of the myth and what its prospects are. The classical Greek myth develops around the alternation of various perceptual phases that leads to a global understanding of the considered theme. The consumerist contemporary myth is based on what is unfulfilled, on a fragment that does not connect with the whole. It is precisely what Barbara Kruger says: “I shop therefore I am” does not untangle the existential dimension of being. Yet life in a mythological dimension, as if every moment was paradigmatic and led us to different accesses to an unknown world, is of fundamental importance. There lives the artist, in that solitary place, as heroic as a pioneer.   I believe this is how it has always been over the years because the artist always gave voice to the subjectivity of feeling, and his lyrics to the overflowing of emotions.

Paradoxically, the problem for the artist lies in his need for recognition, and this can only be reflected by an economic recognition originating from the art system itself. It is a forced compression in a scheme that determines boundaries and modes of application, where the feeling aligns itself to the convenience of an objective volition, alien to its natural subjective origin, at times imploding into something akin to farce. The artist should not seek recognition, this can be his limit. He should suffice himself. Or maybe the art system should not expand too much on the market level, since thanks to mass media the communication level cannot be but mythical because of the necessity of attracting the public at large.

The mythical content of an artist lies not in his ability of projecting himself as a universe of values, to be then absorbed in the mass media distorted communication. He can only remove himself from the scene and hope to live in the hearts of those few who can still resonate, because they ­cultivated and treasured their intimate world, their soul. Their subjectivity.

When subjectivity dares to express its own passion, then it becomes the most interesting device. It triggers a coordination of psychic and physical processes in terms of synchrony, not of randomness. Synchrony means then simultaneity of a certain psychic state with one or more external events that appear to be significantly parallel to the momentary subjective state and, sometimes, vice versa.

The phenomenon of synchronicity, as Jung describes it, is the result of two factors: “1) an unconscious image arises directly (literally) o indirectly (as a symbol or just as a hint) on the conscience as a dream, sudden idea or premonition; 2) a certain objective event coincides with this content.” How is coincidence created? The coincident representation starts in the unconscious and then comes back in ideas that are independent from us and are caused by something else and not by one's own thought. Even Goethe thinks in magic terms in relation with synchronistic events. “We all have ­certain electric and magnetic powers within us and ourselves, an attractive and repelling force, according as we come into touch with something like or unlike.”

Causality, so important in the western world, acquired such a primary role only in the past few centuries, more and more obscuring a world based on metaphysical values. From time immemorial it exists in the Chinese ­philosophy the concept of Tao, which could be translated as “sense.” The Tao permeates Chinese thought, generating an idea of the world totally different from ours, bordering a phenomenal conception. Reality for them is a conceptual dimension, because in all things a sort of implicit order is concealed.  

A parallel comes to my mind with a previous exhibition Anita Sieff held at the Fondazione Querini Stampalia, that she titled Ordine di Senso (The Appropriate Order) in honour of this emptiness that implies the germinative potential of our feelings and our actions.


installazione psyche