public access | showcase | campo | production
art | love | nature | being | living | moving

Parlare di poesia è come parlare di amore, sono due misteri gemelli. Se si conoscesse già il poema non vi sarebbe bisogno di scriverlo.
Da sempre la poesia è stata la rivelazione della complessità, dell’affinità, di quell’amore che potremmo persino chiamare molecolare. “Perché i poeti nei tempi di sconforto?” chiedeva Hölderlin, che considerava la poesia come La Casa dell’Essere. È quindi indispensabile?
L’esperienza poetica, indicibile momento personale intimo e assolutamente gratuito, dovrà entrare nella fornace alchemica (il corpo stesso del poeta) per diventare enigma del poema, unione incandescente di parole, quelle parole che l’analogia ci rivela essere amanti. Per il poeta le parole non sono oggetti o forme inerti e passive, ma esseri vivi e complessi, in perpetua mutazione, depositari di ogni uso che, coscientemente o non, ne sia stato fatto, capaci di resurrezioni parziali o totali, con più vocali o consonanti a seconda del contesto, sottomessi (illusoriamente) oppure inventivi, mascherati o audaci, discreti o riservati, sonorità per gli occhi, alla ricerca di nuove affinità atte a fecondarli.
Persa, per eccesso o privazione, ogni soggettività, lanciata nello spazio impersonale di ognuno di noi, può forse la poesia diventare fonte di ispirazione per un nuovo ed insondato sapere, un nuovo vivere?
Anche nel dolore, mentre trasforma la consistenza della sabbia in pura trasparenza e scompare, senza trattenere nulla per sé, visto che altro non è che il vetro dove l’altro appoggia la fronte,
il poeta celebra incessantemente la vita, l’invisibile nel visibile: non ha altro ruolo.

Susan Wise