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La creatività dell’arte e gli abissi della follia.
C’è ancora del caos dentro di voi - chiedeva Nietzsche - c’è ancora una stella danzante?
Ci sono parole usate e abusate che servono a nominare territori indecifrabili o spazi di insigni-ficanza, esalazioni di follia contenuta o vuoti abissi di mancata genialità.
Una di queste parole è “creatività”. Una parola seria il cui uso va sottratto all’abuso.
La creatività è un carattere saliente del comportamento umano, particolarmente evidente
in alcuni individui capaci di riconoscere, tra pensieri e oggetti, nuove connessioni che portano a innovazioni e cambiamenti.
Il criterio dell’originalità, presente in ogni attività creativa, non è un criterio sufficiente, se è disgiunto da una legalità generale che consente all’attività di essere riconosciuta da altri individui. L’accadere della creatività secondo regole è ciò che la distingue dell’arbitrarietà. Il carattere creativo è contrassegnato da una forma di pensiero detto divergente che, a differenza di quella convergente che tende all’unicità della risposta a cui tutte le problematiche vengono ricondotte, presenta originalità di idee, fluidità concettuale, sensibilità per i problemi, capacità di riorganizzazione degli elementi, produzione di molte risposte diverse fra loro. Il pensiero divergente, in cui si esprime la creatività, entra in gioco quando i processi convergenti si sono sviluppati al punto da permettere un’adeguata padronanza del settore di applicazione, per cui, fino a una determinata soglia intellettiva, tra i due tipi di pensiero esiste una stretta interdipendenza che tende a diminuire a livelli molto alti di intelligenza. Per essere creativi dunque bisogna avere organizzato bene le basi da cui spiccare il volo, altrimenti il destino è quello di Icaro.
La massa di ricerche sperimentali dà un profilo della persona creativa: il creativo è motivato da curiosità, bisogno d’ordine e dal successo, è autoritario, aggressivo, autosufficiente, è scarsamente inibito, non formale, non convenzionale, indipendente e autonomo, ha grosse capacità di lavoro, autodisciplina, versatilità, è costruttivamente critico, non facilmente soddisfatto, ha una larga gamma di interessi in cui non rientrano quelli economici, ha interessi di tipo femminile, scarsa aggressività maschile, non desidera molti rapporti sociali, è introverso, emozionalmente instabile, ma capace di usare efficientemente la sua instabilità, non adattato in senso psicologico, ma socialmente adattato, è intuitivo, ematico, si considera creativo e si descrive come tale, è poco critico nei propri confronti, esercita un notevole impatto sugli altri.
La creatività ha inoltre parentela con gli orli e talvolta con gli abissi della follia. A mettere in luce questa relazione fu per la prima volta C. Lombroso che nel 1864 dimostrò come Cellini, Goethe, Vico, Tasso, Newton e Rousseau erano stati soggetti ad attacchi di “pazzia”, concludendo che la genialità era l’espressione di una “psicosi degenerativa”. K.Jaspers, che ha esaminato la stessa relazione in Nietzsche, Strindberg, Van Gogh, Hölderlin e Swedenborg, scrive: “Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, è al di là dell’opposizione tra normale e anormale e può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dal difetto della conchiglia: come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così, di fronte alla forza vitale di un’opera, non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita.” E a proposito di Strindberg: “Emerge in modo incontestabile una coincidenza scientificamente dimostrata tra il grado più alto dello sviluppo creativo e il momento più eclatante dell’esplosione della turba psicologica. Questo dato, che richiede ulteriori conferme in campo patografico, è comunque significativo anche per il fatto che sembra modificare l’opinione comune secondo cui malattia mentale equivale a completo disfacimento emotivo e patologico, se è vero che, per Strindberg, tale coincidenza non appare assolutamente provata”.
Per quanto concerne il rapporto fra perversione e creatività J. Chasseguet-Smirgel, partendo dall’ipotesi di S. Freud secondo cui creatività e perversione si radicano nello stadio pregenitale dell’evoluzione psichica, ipotizza che le due figure abbiano in comune la ribellione alla “legge fondamentale promulgata dal complesso edipico” per cui sia la perversione sia la creatività vivono in un regime di doppia verità che da un lato riconosce la realtà, dall’altro la sconfessa risolvendola in un regime di falsificazione idealizzante, indispensabile per una produzione creativa. La condizione pregenitale viene inoltre letta come il caos prima del cosmo regolato da leggi, per cui la creatività attinge nel caos per riformulare il cosmo. Esistono tecniche di potenziamento della creatività che S. Arieti individua a partire dalle condizioni che favoriscono il processo creativo: la prima condizione è “la capacità di stare solo che può essere considerata una parziale deprivazione sensoriale” grazie alla quale l’individuo, riducendo la sua esposizione agli stimoli convenzionali, ha la possibilità di ascoltare il proprio mondo interno accostandosi a quelle che la psicoanalisi chiama “manifestazioni del processo primario”; la seconda condizione è l’inattività che consente di sottrarre l’attenzione alle occupazioni esterne favorendo “l’emergere di quelle fantasticherie, spesso scoraggiate perché considerate fuori dalla realtà, ma estremamente utili per brevi incursioni in mondi irrazionali”; un altro elemento importante è il ricordo e la ripetizione interiore dei conflitti traumatici passati. Questo spiega il rifiuto da parte dei creativi del trattamento psicoterapeutico, quando addirittura essi non auspicano o si procurano con alcol o droghe un incremento della componente psicopatologica, giudicata terreno fecondo per la produzione creativa; un ultimo requisito è l’ingenuità, una parola latina che viene da in-genuus, nato libero, dove in gioco non è la libertà di, ma la libertà da tutti i condizio-namenti, soprattutto mentali, che fanno apparire il mondo entro uno schema interpretativo che annulla sul nascere la sorpresa del mondo. La creatività, infatti, non è produzione di cose nuove, ma fedele ancella del “sorprendente”, lo stesso che un giorno generò la filosofia, che, come vuole Aristotele: “è nata dal dolore e dalla meraviglia”.

Umberto Galimberti