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symposium on love
by guggenheim public
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Ripensando agli usi
dell'arte: cosa c'è di nuovo nel nuovo?
Al giorno d'oggi viviamo in un mondo che sta cambiando drasticamente. Sì,
lo so, è sempre stato detto, non importa se cento o dieci anni fa, quando
ci si riferisce al mondo contemporaneo. E' un cliché. Ma non è
una novità il fatto che viviamo in un mondo che è diventato di
per sé un cliché? Nel 1987, Umberto Eco in "Sette Anni di
Desiderio" scrisse: "Disneyland si può permettere di commercializzare
le sue ricostruzioni come capolavori del falso, dal momento che i beni messi
in commercio non sono propriamente riproduzioni ma veri e propri beni. Ciò
che è falso è il nostro bisogno di comprare, che consideriamo
reale, e in quel senso Disneyland rappresenta veramente la quintessenza dell'ideologia
consumistica." Va bene, tutto ciò non è molto nuovo, sono
d'accordo. Ma proviamo con un'altra citazione , questa volta di Andy Warhol
dal suo diario il 27 giugno 1983 : " Ma poi, fin dagli anni sessanta, dopo
anni e anni e un numero sempre più elevato di 'persone ' nelle notizie,
ancora non sai qualcosa di più sulle persone. Forse conosci di più,
ma non conosci meglio. Come se vivessi con qualcuno e non avessi la minima idea
di chi possa essere. Così che bene può farti tutta questa informazione?"
Beh, Andy, talvolta non lo so nemmeno io!Un'altra citazione, stavolta Rafael
Argullol e Eugenio Trìas ne "El cansancio de Occidente" del
1992: "La passività è il marchio che contraddistingue gli
uomini d'oggi. Ed è ovvio: se le persone vengono tramutate in spettatori
e private di ogni possibilità di influenza, si dà vita a esseri
passivi. Ma tutto ciò, certamente, avviene sotto la sembianza del suo
opposto. Tutti i tipi di pseudo-eventi vanno avanti nel mezzo di un flusso di
costante attività; attività che rinforza il passivo, un movimento
ininterrotto che sfuma nell'immobilità. Parliamo di tutto lo stress e
la frenesia della nostra società, ma l'impressione finale é di
una ricerca di vacuità."
Va bene, basta con le citazioni. Ciò che vi può essere di novità
nel nuovo oggi é che molti di noi , almeno nella middle-class occidentale,
hanno, mai come adesso, la possibilità di stare all'interno del mondo.
Se abbiamo accesso alla tecnologia dell'informazione, o se possediamo una ragionevole
somma di denaro, pur non essendo necessariamente ricchi, il mondo si é
ristretto e possiamo virtualmente o realmente viaggiare e far parte del mondo
oltre i limiti geografici. E' come un utopia di universalità che sembra
essersi avverata.
D'altra parte, però, sembra vi sia una sensazione di essere fuori in
questo nuovo mondo. E' un paradosso, più informazioni riceviamo sul mondo,
meno conoscenza ne ricaviamo. Non consumiamo soltanto beni ma anche i media,
e ciò che i media rappresentano. Certo, Marshall Mc Luhan aveva ragione.
In molti casi sono i media che rappresentano il messaggio in sé stessi.
Ma come possiamo affrontare la cosa? Come può un artista sperimentare
qualcosa senza che ciò diventi un insignificante attività che
si riferisce solo a sé stessa? Questo é un vicolo cieco postmoderno.
C'è qualche via d'uscita?
L'argomento allora deve progettarsi. Dobbiamo imparare a capire che siamo sempre
-da qualche parte- globali. La geografia é finita e dobbiamo cominciare
a procedere dalle nostre esperienze. Il mezzo per tale tipo di viaggio non é
il "Chi sono?", ma piuttosto il "Quando sono?". In un mondo
globale dobbiamo procedere con un linguaggio globale, altrimenti ci perdiamo.
Ma le nostre esperienze non sono solo globali, e ciò riguarda tanto le
mie esperienze private, radicate nel mio contesto privato, quanto per le esperienze
collettive di un mondo che molti di noi dividono e nel quale convivono. Perciò
dobbiamo riformulare cosa possa essere un'esperienza in relazione al linguaggio,
specialmente alla luce del fatto che il linguaggio non é separato dal
corpo o dal luogo nel quale interagiamo. Il linguaggio é un flusso costante
e interagisce con ogni contesto e situazione che ci riguarda. Questa frizione
sempre crescente tra l'esperienza e il linguaggio crea intraducibili distanze.
E dal momento che l'Io può avere una comprensione solamente parziale
di se stesso, e ha bisogno dell'Altro per riempire gli spazi, un vero dialogo
tra esperienza e linguaggio non può accadere con una semplice "comprensione"
tra i due. Se voglio darmi le coordinate, se voglio posizionarmi in questa geografia
sconnessa, devo raccontare una storia, la mia storia. Se quella storia é
vera, non é di nessun'altro se non mia. Certo, questo crea una certa
incomprensione, un intraducibile distanza tra me stesso e gli altri. Ciò
che vi é di nuovo nel nuovo di oggi é il lottare per conquistare
uno spazio nel mondo e poter raccontare questa storia. Non é il cyberspazio.
Non é nemmeno lo spazio etnico. E' uno spazio mentale, dentro di me,
dentro il mio essere.
John
Peter Nilsson
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Rethinking art
practises: What is the new in new?
Today we are living in a world that is changing dramatically. Yes, I know,
this has always been said, no matter if it was a hundred or ten years ago,
when one is confronting contemporary life. It is a cliché. But isn'
t the new that we are living in a world that has become a cliché of
itself?
In 1987, Umberto Eco wrote in "Sette Anni di Desiderio": "Disneyland
can permit itself to market its reconstructions as masterpieces of fakery,
since the goods that are being marketed are not really reproductions but genuine
goods. What is faked is our urge to buy, which we see as real, and in that
sense Disneyland is really the quintessence of consumer ideology."
Okay, still, that is not really new, I agree. But let's try another quote,
this time Andy Warhol in his diaries June 27th in 1983: "But then, since
the sixties, after years and years and more 'people' in the news, you still
don' t know anything more about people. Maybe you know more, but you don'
t know better. Like you live with someone and not have any idea, either. So
what good does all this information do you?" Well Andy, sometimes I don'
t know either!
Another quote, this time Rafael Argullol and Eugenio Trías in "El
cansancio de Occidente" from 1992: "Passivity is the hallmark of
humans today. And it's clear: if people are turned into spectators and robbed
of any possibility of influence, this gives rise to a passive being. But all
this, of course, takes place under the guise of its opposite. All manner of
pseudo-events go on amid a stream of constant activity; activity that reinforces
the passive, an uninterrupted motion that fades into immobility. We speak
of all the stress and hecticness in our society, but the final impression
is of a pursuit of emptiness."
Alright, enough with quotes. What might be new in the new today is that many
of us, at least in the middle-class West, have a possibility as never before
to be inside of the world. If we have access to information technology, or
if we have a reasonable amount of money, but not necessarily being rich, the
world has shrunk and we can virtually and for real travel and be part of the
world beyond its geography. It is a utopia of universality that seems to have
come true.
On the other hand, though, there seems to be a feeling of being outside in
this new world. It is a paradox, the more information about the world the
less knowledge we get. We are not only consuming goods, but also media, and
what media represents. Sure, Marshall McLuhan was right. In many cases it
is the media that is the message itself.
But how should we face this? How can an artist practise something without
it becoming a meaningless activity that only refers to itself? This a postmodern
cul de sac. Is there any way out?
The subject today has to map itself. We have to learn to understand that we
always are global - somewhere. The geography is broken and we have to start
to navigate from our own experiences. The vehicle for such a journey is not
"Who I am", but rather - "When am I?" In a global world
we have to navigate with a global language, otherwise we get lost. But our
experiences are not only global, it is as much my private experiences, rooted
in my own private context, as it is collective experiences from a world that
many of us share and live in together. Therefore we have to rethink what an
experience can be in relation to language, especially to the fact that language
is not separated from either our body or the place in which we act.
anguage is in constant flux and interacts with every context and situation
we enter.
This ongoing friction between experience and language creates untranslatable
distances. And since the Self can only have a partial understanding of itself,
and needs the Other to fill in the gaps, a true dialogue between experience
and language can't happen by a simple "understanding" between the
two.
If I want to map myself, if I want to position myself in the broken geography,
I have to tell a story - my story. If that story is true, it's nobody else's
but mine. Of course, this creates a certain misunderstanding, an untranslatable
distance between myself and others. What is new in the new today is to fight
for a space in the world to tell this story.
It's not cyberspace. And it's not ethnospace. It is a mental space, within
myself, within my fellow being.
John
Peter Nilsson
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Il principio surrealistico
d'amore
In Author and Hero apparso su Aesthetic Activity ( 1920-1923), M.M. Bakhtin
scrive: " Condizione prima e fondamentale di una visione estetica del
mondo è quella di comprenderlo come mondo di altre persone che vi hanno
vissuto la loro vita, ovvero comprenderlo come il mondo di Cristo, Socrate,
Napoleone, Pushkin, ecc.. Bisogna arrivare a sentirsi a casa nel mondo delle
altre persone e questo per essere in grado di passare dalla confessione alla
contemplazione estetica oggettiva, dai quesiti su significato e ricerca di
significato, al mondo come un bel dono".
Si può interpretare tutto ciò come una comprensione visionaria
generale dell'odierno villaggio globale. Ma quando Bakhtin afferma che "bisogna
arrivare a sentirsi a casa nel mondo di altre persone e questo per essere
in grado di passare dalla confessione alla contemplazione estetica oggettiva,
dai quesiti su significato e ricerca di significato, al mondo come un bel
dono", l'interpretazione può essere anche una visione ad abbracciare
l'Altro senza pregiudizi o presunzioni secondo un'interpretazione più
psicologica, in modo relazionale. Abbracciare la naivetè dentro di
noi. Riscoprire il/la piccolo/a bimbo/a che sembra sparire dentro di noi man
mano che invecchiamo.
Per Bakhtin un ruolo importante in questo processo è il "ridere".
Secondo Sigmund Freud, l'umorismo era una forma di disubbidienza, un rifiuto
a soccombere ai pregiudizi sociali. Per i surrealisti, tra gli altri, l'umorismo
divenne la danza del Diavolo che li conduceva negli abissi dell'inconscio.
In Le surréalisme (1950), Yvonne Duplessis scrive: "L'umorismo
non è solo la caratteristica di coloro che non si lasciano accecare
dalla realtà. Ha anche un aspetto più profondo in quanto esprime
la volontà dell'io di liberarsi dalla realtà e divenire immune
ai suoi attacchi. Gli shock del mondo esterno possono darci persino piacere.
Andrè Breton cita un esempio di Freud in cui un condannato, mentre
viene condotto al patibolo di lunedì, gli urla ' La settimana comincia
bene!'. Grazie al contributo dell'umorismo che ci risparmia 'le prove di dolore',
esso ha un 'valore superiore', e 'noi lo vediamo particolarmente efficace
per liberarci ed elevarci'.".
L'interpretazione dell'umorismo data da Breton come qualcosa per 'liberarci
ed elevarci' fu una componente importante per la visione artistica del Surrealismo
come potenziale utopistico per la creazione di un mondo migliore e più
bello. I Surrealisti assunsero un punto di vista programmatico della capacità
dell'arte di cambiare il mondo, rendendo visibile la 'vera' realtà
dell'inconscio: la verità assoluta, dietro la falsa facciata della
ragione borghese. Che cosa accade se si cambia umorismo con amore? Possiamo
usare l'amore per liberarci ed elevarci?
Ovviamente, all you need is love
A partire dal Romanticismo questa
è la risposta a tutti i tipi di problemi. Quando qualsiasi altro modo
di abbraccio o incontro degli altri fallisce, l'amore è l'unica soluzione.
Specialmente nella cultura popolare l'amore è stato (male)usato. Per
parafrasare una famosa osservazione di Umberto Eco sulla crisi della rappresentazione
nella società, oggigiorno non puoi dire solo "ti amo", devi
invece dire "ti amo come Ingrid Bergman amava Humphrey Bogard in Casablanca",
ecc.. Pochi sembrano credere nell'amore incondizionato. Al contrario l'amore
è sempre condizionato.
Per tornare ai Surrealisti, André Breton scrive nel Secondo Manifesto
del Surrealismo nel 1929:" Ogni cosa ci conduce a credere che c'è
un certo punto in cui la vita e la morte, il reale e l'immaginario, il passato
e il futuro, il comunicabile e l'incomunicabile, gli alti e i bassi, cessano
di essere percepiti come contraddittori. La ricerca di qualsiasi altro motivo
dell'attività surrealista diversa da quella di quel punto ora è
vana".
Non è forse l'amore il punto d'esperienza in cui gli opposti si uniscono?
Non meno che l'opposizione tra paura e desiderio, per esempio. Questo paradosso
porta al Barocco: possiamo guardare all'amore in modo barocco per cui "la
spira" giocò un ruolo percettivo cruciale? Gilles Deleuze ne parla
nel suo The Fold: Leibniz and the Baroque del 1988. "La spira: il Barocco
inventa il lavoro o processo infinito. Il problema non sta in come finire
la spira, ma come continuarla, portarla attraverso il soffitto, fino a collegarla
all'infinito. Non dipende solo dal suo incidere su tutti i materiali che la
spira diviene materia espressiva, con diversi gradi, velocità, e diversi
vettori (montagne e mari, carta, tessuti, tessuti viventi, mente), ma specialmente
per il suo determinare e materializzare la Forma. Produce una forma di espressione,
una Gestaltung, l'elemento genetico o linea infinita d'inflessione, la curva
con un'unica variabile.
È ovvio che per il Barocco è Dio a dover rivelare se stesso
nei vertiginosi modelli delle forme. Ma non potrebbe essere anche l'amore?
La spira barocca può suscitare una sensibilità estrema nel cogliere
al massimo il momento, nell'essere in grado di coordinarsi con varie forze
al di fuori del nostro controllo personale. Essere attenti all'Altro, e osare
proseguire insieme governando i movimenti del proprio corpo sui termini dell'Altro
e viceversa.
Possiamo entrare in una stanza, una situazione, che definisce la nostra stessa
presenza. Uno spazio che cambia a seconda di come ci muoviamo. Una situazione
che va semplicemente avanti, che è.
John Peter Nilsson
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The Surrealistic
Love Principle
In Author and Hero in Aesthetic Activity from ca. 1920-1923. M. M. Bakhtin
writes: "The first and foremost condition for an aesthetic vision
of the world is to understand it as the world of other people who have
accomplished their lives in it-that is, to understand it as the world
of Christ, of Socrates, of Napoleon, of Pushkin, etc. One must come to
feel at home in the world of other people, in order to be able to go on
from confession-to objective aesthetic contemplation, from questions about
meaning and searchings for meaning-to the world as a beautiful given."
One can interpret this as a general visionary understanding of today's
global village. But when Bakhtin says that "one must come to feel
at home in the world of other people, in order to be able to go on from
confession-to objective aesthetic contemplation, from questions about
meaning and searchings for meaning-to the world as a beautiful given",
one can also interpret it as a vision to embrace the Other without any
prejudices nor pre-assumptions in a more psychological way, in a relational
way. To embrace the naivete within oneself. To find the little boy or
the little girl that seems to disappear within ourselves when we are getting
older.
For Bakthin laughter was an important factor in this process. As Sigmund
Freud saw it, humour was a form of disobedience, a refusal to give in
to social prejudices. For the surrealists, among others, humour became
a dance of the Devil that led them down into the abysses of the unconsciousness.
In Le surréalisme (1950), Yvonne Duplessis writes: "Humour
is not only the hallmark of those who do not allow themselves to be blinded
by reality. It also has a more profound aspect, to the extent that it
expresses the self's will to liberate itself from reality and to become
immune to its attacks. The shocks of the external world can even give
rise to pleasure. André Breton quotes Freud's example, in which
a condemned man calls out on his way to the gallows one Monday: 'The week
is beginning well!' Thanks to the way humour spares us 'the test that
pain forces in us', it has a 'higher value', and 'we see it as especially
effective for liberating and elevating ourselves'."
Breton's interpretation of humour as being "for liberating and elevating
ourselves" was an important component in Surrealism's view of art's
utopian potential for creating a better, more beautiful world. The Surrealiststook
a programmatic view of art's capacity to change the world, by making visible
the 'true' reality of the unconscious: an absolute truth, beyond the false
façade of bourgeois reason. What happens if we change the word
humour with love? Can love be used as a way to leberate and elevate ourselves?
Of course, all you need is love... Since Romanticism this is the answer
to all kind of problems. When other ways of embracing or meeting each
other fails, love comes as a solution. Especially in popular culture love
has been (mis)used. These days you can't only say "I love you",
you have to say "I love you as Ingrid Bergman loved Humphrey Bogart
in Casablanca" etc, to paraphrase Umberto Eco's famous remark on
the crisis of representation in society. Few seems to believe in uncondinational
love. Instead love seems always to be conditional.
Coming back to the surrealists, André Breton writes in the Second
Manifesto of Surrealism from 1929: "Everything leads us to believe
that there exists a certain point in the spirit at which life and death,
the real and the imaginary, the past and the future, the communicable
and the incommunicable, the high and the low, cease to be perceived as
contradictory. Now it is vain to search for any other motive in surrealist
activity than the hope of discovering that point."
Isn't love the point in experience at which opposites are united? Not
least the opposition between fear and desire, for example. This paradoxe
leads to the Baroque - can we look at love in a baroque in which "the
fold" played a crucial roll in perception? Gilles Deleuze deals with
this in his in The Fold: Leibniz and the Baroque from 1988: "The
fold: the Baroque invents the infinite work or process. The problem is
not how to finish a fold, but how to continue it, to have it go through
the ceiling, how to ring it to infinity. It is not only because the fold
affects all materials that it thus becomes expressive matter, with different
scales, speeds, and different vectors (mountains and waters, papers, fabrics,
living tissues, the brain), but especially because it determines and materializes
Form. It produces a form of expression, a Gestaltung, the genetic element
or infinite line of inflection, the curve with a unique variable."
Of course, it was God that should reveal himself in the vertiginous shapes
of the forms according to the aim of the baroque. But it can be love as
well, can't it? The baroque fold can spark off an extreme sensitivity
to making the most of the moment, to being able to coordinate with various
forces that are out of our own personal control. To being attentive to
the Other, and to daring to go along with it by governing the movements
of your own body-on the Other's terms and vice versa. We can walk into
a room, a situation, that defines our own presence. A space that changes
depending on how we move about. A situation that is simply going on-that
just is.
John Peter Nilsson
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