symposium on love by guggenheim public |
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Ogni
tipologia è anche una topologia, ed insieme una sintomatologia, ansia
una patologia: tipo-, pato, toto, onto,totò...per dirla con Lacan. Tentiamo
allora una tipo-patologia dellíamore, i cui soggetti battezzeremo S e
S' (mentre per Grande Altro intenderemo, come d'uso, il Simbolico nella sua
forma psicopolitica: il padre superegoico, il Potere nelle sue forme). I In questa prima figura, i due amanti nascono da uno stesso ramo, ma finiscono in opposizione. |
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Nei
nostri termini i due sé condividono una radice comune - status, educazione,
Grande Altro... - ma la interpretano talmente allo stesso modo, da ritrovarsi
sulle stesse posizioni da due lati inversi. Qui finiscono poi in stallo. Ognuno
ha interpretato l'Altro troppo bene, cioé lo ha presonalizzato (ha fatto
una lettura personale, ossia immaginaria, del simbolico). E'come se parlassero
la stessa lingua, ma in due epoche diverse del suo sviluppo, oppure due lingue
contemporanee ma diverse, nate da una stessa radice comune, come il romeno e
l'italiano (qualcosa si capisce, ma poco...). L'esempio è: due giovani (S e S') si conoscono in tenera età (lei 13, lui 15); si innamorano, si giurano fedeltà eterna. In età più adulta, lui è insofferente, la tradisce, il rapporto è infinitamente tormentato, ecc. Poi in età ancor più avanzata, quando dovrebbero sposarsi, è ormai tardi: a 30 anni si ritrovano ad essere proprietari ciascuno di un appartamento che non prevede la presenza dell'altro (nessuna camera matrimoniale, ecc.); peccato che i due appartamenti siano all'interno dello stesso fabbricato. Mica male come esempio di non-matrimonio! Così ognuno dei due è (più che complice), tanto controllore dell'Altro, quanto sottoposto al suo controllo... II Nella seconda figura, invece, si esprime il regime dell'obversione al suo massimo splendore, in un modo quasi didattico. La forma del rapporto è la seguente: |
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Questo
è il tipico chiasma che forse affetta la maggior parte dei rapporti d'amore
odierni (forse è la forma generale di tutti i rapporti interpersonali).
In breve, non mi basta, (a me S) averti (tu, S') per la via più breve:
debbo averti per la via più tortuosa, che è in effetti líunica
che conosco, quella che passa attraverso quella che io penso che sia la tua
negazione. In effetti , è la negazione della negazione di te, mio S'.
L'esempio è quello dei due ri-non-sposati palermitani: S e S' si sono sposati, dopo anni di fidanzamento. Ma tutto, invece di finire bene, finisce male. Non si capiscono, si lasciano. Infine iniziano le normali pratiche di divorzio (perché lo Stato è di più ampie vedute della Chiesa, e costituisce un generoso Grande Altro che ha ormai accettato che il suo simbolico ammetta dei ritocchi). In una visione "razionale", "realistica" della vita (a due) fin qui, nel male, tutto bene. Si suppone che, divorziando, ciascuno sarà più libero di rifarsi una nuova vita poi, da solo, o con un nuovo S. Dalla massima vicinanza |
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equivalente alla"t'amo, riamato", si passa alla massima lontananza | ||||||||
del
"non t'amo, non mi ami". Ma, fatalmente, questa lontananza stessa
si rivela legame. E' la classica scoperta del negativo: non la constatazione
della rottura come tale, come fatto (già inevitabile, e prevista forse,
in ogni legame), ma la consapevolezza della rottura come vincolo, ossia della
natura riflessiva del negativo, del negativo del negativoî la zizekiana
perdita della perdita di cui in Kiezslowski (in Film Blu, la protagonista perde
il marito in un incidente; dopo la sua morte scopre però che il marito
aveva un'altra...,ecc.). A questo punto l'obversione avrà buon gioco,
come un tempo líamore romantico, a ricondurre presto in un talamo (non
più coniugale però!) i due soggetti, i quali di giorno vanno in
tribunale per dirimere la loro causa di divorzio, ma di notte amoreggiano all'insaputa
di tutti (i.e. all'insaputa del Grande Altro, da loro stessi evocato!) finalmente
come due amanti!... Qui il rapporto è più dinamico che nel caso
I, ma sarebbe il caso di chiedersi quanto può durare?î. Molto,
forse, a patto che i due intendano di essersi afferrati definitivamente all'inverso,
per ciò che non sono. Naturalmente, questa figura si staglia bene se
la paragoniamo a quella della (apparente) perdita romantica alla Novalis: in
Enrico di Ofterdingen, l'eroe abbandona il suolo natio e la sua bella, perché
è desideroso di provare nuove esperienze, ecc. Dopo tanto girovagare,
capita in un villaggio sconosciuto, e si innamora di una bella paesana, ma il
mistero è presto svelato: è semplicemente ri-tornato là
dove era partito (la meccanica è la stessa anche in Tannhauser; anche
nell'Odissea, a dirla tutta, ma Ulisse è un consapevole). Qui naturalmente
i romantici non intendono per niente ciò che intende Hegel per ritorno
ingenuamente essi pensano che voglia dire riconquista definitiva del veroî
ritrovamento dell'autentico, arricchito dall'esperienza - quando invece il ritorno
dialettico è semmai la conquista del falso come tale, ossia non della
parte più autentica del vero (che solo un lungo giro mi permetterà
di apprezzare, come il giro in groppa al possibile in La vita è una cosa
meravigliosa di Frank Capra), ma del falso in quanto vero capovolto due volte.
III La terza forma è più semplice, ma offre ugual materia di riflessione. In essa un soggetto domina l'Altro, o così pare: |
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S prende S' per padrone, ma perché? Ossia, perché ora, perché
qui, in una società che invece non impone più un coniuge all'Altro
sotto forma esteriore di obbligo ecc.? La risposta è che S ha bisogno
di S' proprio come di un Altro con la A maiuscola, che lo domini e lo sottometta,
ma non per quello che S sarebbe veramente (un soggetto vile, pauroso, servile,
subjectum), ma per quello che S non è, ossia costruendo una fiction simbolica
nella quale (solo nella quale) S è servo di S' (forse qui sta una nuova
lettura della dialettica servo padrone); insomma, siccome non esiste più
la servitù, né il matrimonio per procura, almeno tu saprai essere
il mio padrone? L'esempio è quello della giovane S alle prese col suo S', un giovane per niente dispotico, ma anzi gentile e socievole con tutti. Ma con lei no: diventa un tiranno, a cui lei volentieri si assoggetta (proprio lei, che in società è una aggressiva conquistatrice di terreni simbolici!): i due soggetti sembrano ben essersi capiti all'inverso! In una variante, la giovane S, è una bella femmina da tutti concupita, a motivo appunto della sua bellezza. Ma lei, essendo per di più intelligente, non ama affatto sentirsi circondata da questi cascamorti, e quindi trova il suo S' in un giovane che invece la seduce, l'abbandona, non si dà pena di lei o se ne dà troppa, e infine la picchia pure! Sobillata dagli amici, la nostra S riesce a uscire dal rapporto (la forma a T di cui sopra), per mettersi con S'', un giovane posato e ammodo, che l'ama perdutamente. Peccato che il nuovo fidanzato sia un pò prevedibile! Come prevedibile è il ritorno di S assai presto nelle braccia di S' che non solo ricomincia a menarla, ma mena pure un amico di lei che innocentemente l'aveva abbracciata con troppo trasporto! S' in effetti non può fare il geloso veramente (lui l'aveva sedotta e abbandonata, addirittura in un molo, dopo averla portata in vacanza in barca a vela!); sta solo riprendendosi il posto in cima allo schema, che aveva perduto... intanto S ha trovato lavoro: nello studio aperto dal metodico S''... (e vissero in tre - felici e contenti). IV Infine la forma che per la perfezione del suo esempio definirei "luci dell'est. In essa i soggetti si incontrano sotto un Grande Altro, che ne tiene le fila: |
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L'esempio è felice: i due giovani S e S' si sposano, vivono assieme e non han preoccupazioni. Perché? Entrambi ad esempio sono credenti e ciellini, ecc. In questo caso lo schema va interpretato così: | ||||||||
perché
i due soggetti credono nel loro G.A. Naturalmente in questa vettorialità
sta l'obversione: il G.A. è stranamente la misura di soggetto (ossia,
non si sa quanto sia veramente simbolico, ma è meglio non chiederselo).Vi
è però una variante interessante: S è un giovane
sciupafemmine. Alle soglie della maturità, si reca in Polonia,
prima del fatidico 1989; lì si innamora di S', giovane polacca.
Portarla in Italia non è facile, farla tornare in Polonia nemmeno,
ma alla fine egli se la sposa felicemente. Dopo pochissimo però,
la Cortina di Ferro crolla, e anche i polacchi ricominciano ad essere
"semplici" cittadini europei; così, inaspettatamente
S cessa di amare S', perché scopre quel che c'era da scoprire fin
dall'inizio di un matrimonio tanto frettoloso: che lei ha interessi, carattere
e usi infinitamente diversi dai suoi... insomma, il matrimonio aveva retto
finché si era nutrito dall'opposizione al Grande Altro; quando
quest'ultimo è miseramente crollato, rivelando la sua "meschina
verità" anch'esso è scivolato nel nulla, facendo lo
stesso, subendo la stessa metamorfosi (crisi d'alterità!). Vien
da pensare che il vero amore non sia semplicemente ostacolato dalla presenza
dei Grandi Altri (la sorte avversa, le famiglie in dissidio, come in Romeo
e Giulietta, o il dispotismo delle gerarchie militari, come in Carmen
di Bizet, ecc.), ma che, senza tale ostacolo, l'amore non ci sia più.
Forse l'ultima storia d'amore è stata quella tra i due giovani
di Sarajevo, lei musulmana, lui serbo, che si incontravano sul ponte sul
Danubio; quando poi non finiscano uccisi dai cecchini, sarebbe da chiedersi
cinicamente: a guerra finita, avrebbero ancora un motivo per restare insieme...?
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