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"L'amore
può essere inteso come un'apertura verso ciò
che é altro e diverso da noi stessi, e di conseguenza come un "indicatore"
per capire cosa significhi pubblico"
Ho modificato questa citazione/frase essenziale rispetto al materiale che
mi è stato spedito da Anita inserendo una connotazione condizionale:
queste due concezioni dell'amore POTREBBERO verificarsi. Le ragioni per cui
risiedono al di là della nostra comprensione sono radicate nella storia
culturale dell'occidente. Abbiamo abbandonato l'organicismo dei filosofi preSocratici
( e dei loro neolitici predecessori) e siamo giunti invece alla intuizione
che esistono tre importanti discontinuità: che vi è una radicale
discontinuità tra l'anima e il corpo, tra gli uomini e la natura, e
tra noi stessi e il mondo. Nessun altro orientamento culturale ha mai rappresentato
queste rotture radicali-non la filosofia orientale, non le genti Native. Per
queste supposizioni "fondamentali"?, percepiamo il nostro io occidentale
come un'entità discreta, riservata in uno schema relativamente prefissato
di corpo-mente. Come degli esseri completamente discreti possano interagire
e addirittura amare fu delineato dagli avvenimenti agli albori della cultura
occidentale. Artefatti delle culture neolitiche della "Vecchia Europa"
indicano un senso di radicamento in natura e il culto della donna. Dopo che
le tribù nomadi migrarono dalle steppe all'Europa sudorientale e Grecia,
però, ereditarono un dio celeste branditore di fulmini (e una visione
della terra dissacrata), il culto del guerriero, e un sistema sociale patriarcale.
Come noi tutti sappiamo assai bene, la società patriarcale allena i
giovani ragazzi a mantenere il controllo in ogni momento (includendo ogni
conversazione), di mantenere relazioni a portata di mano ( per prevenire di
venire oppressi), e di interazioni e istituzioni così che regole rigide
di ordine e una catena gerarchica di comandi possano regolare tutti i rapporti
necessari.
Molti uomini, di certo, si ribellarono contro questa eredità culturale,
ma é giusto dire che quasi tutte le donne trovano la sfera pubblica
in un certo modo inospitale o inutilmente assurda o addirittura profondamente
inumana perché é strutturata secondo le ossessioni patriarcali
sopra descritte mirate a proteggere l'apparentemente isolato io. Su questo
tema, due recenti ricerche negli Stati Uniti sono rilevanti per il nosrto
discorso: una ricerca ha rilevato che le donne Americane sono talmente ostili
alla natura della sfera pubblica che due terzi di loro vorrebbe rinunciare
al proprio lavoro e restare a casa; l'altra ricerca ha scoperto che tre quarti
delle donne lavoratrici vorrebbe abbandonare il posto (patriarcale) di lavoro!
Perché? Perché nella sfera della famiglia, del vicinato, della
comunità, e dell'amicizia, noi donne siamo capaci di costruire rapporti
che sono più genuinamente relazionali, che possano essere "impregnati
d'amore", come dice Anita. Le donne si nutrono di tali relazioni e si
sentono vuote senza di essi. Da qui la sterile, infruttuosa, anti relazionale
sfera pubblica ha dimostrato di essere profondamente deludente per le donne,
anche quando scegliamo di rimanervi per svariate ragioni.
Per l'apparentemente isolato (e più che mai tutelato) io occidentale-
e qui, certamente, la psiche maschile patriarcalmente condizionata é
considerata la norma- abbracciare "l'apertura a ciò che é
altro e diverso da noi stessi" sarebbe altamente (ripugnante) se non
spaventosa e compromettente. No, l'unico modo per portare questa apertura
e il piacere della differenza nella sfera pubblica é attraverso la
rimozione radicale dell'errore ontologico ed epistemologico occidentale: la
concezione di se come Cowboy solitario. Diversi sforzi correttivi- come gli
insegnamenti spirituali, la saggezza trdizionale delle donne, la saggezza
ecologica, e molta arte e musica- sono vecchi come il problema stesso, ma
da ciò che possiamo vedere gurdandoci intorno al giorno d'oggi, sembrano
incapaci di fare più di qualche piccola ammaccatura nell'altamente
"razionalizzata" sfera pubblica. Credo che un elemento fruttuoso
nel nostro discorso sarebbe un orientamento che risenta delle più profonde
esperienze relazionali di vita delle donne e che goda del rispetto degli uomini
poiché é basato su scienza rigorosa: la filosofia di Alfred
North Witehead. I suoi studi sono conosciuti come "filosofia processo"
o "la filosofia dell'organismo". Scrivendo negli anni 20, Witehead
si rese conto che i nuovi fisici avevano reso obsolete sia la nostra vecchia
concezione meccanicistica della fortezza-io sia la nostra concezione di un
mondo popolato di entità discrete. La scoperta di un sottile e inconcepibilmente
dinamico livello di esistenza costituito da particelle/onde subatomiche ha
rivelato che tutte le entità dell'universo sono inerentemente unite
tre loro. Witehead ha basato la sua filosofia su questa intuizione della fisica
quantistica ed ha affermato che , in effetti, le relazioni sono letteralmente
costitutive.La sua filosofia , ha spiegato, si basa "sul compito di rendere
chiara la nozione di 'essere presenti in un'altra entità'"
La nuova fisica--come le scoperte di Buddha nella meditazione di 2500 anni
fa-- rivelano che "entità attuali"(chiamate anche "occasioni
attuali" da Witehead) nascono e muoiono nell'universo quintilioni di
volte al secondo. Witehead ha notato che noi sperimentiamo questo dinamismo
vasto e coesivo dell'intero universo nella nostra mente-corpo, ma "analizziamo
nella nostra consapevolezza solo una minuta selezione dei suoi dettagli."
Le entità attuali, includendo ciascuno di noi, sono "gocce di
esperienza" o "un momento di esperienza." Tutte le sottili
esperienze che hanno costituito un momento del nostro immediato passato, sommate
a tutte le esperienze che "apprendiamo" dalle persone e dalle cose
e dall'intero universo, "concresce"((convergono) nel successivo
momento di realtà attraverso la nostra creativa (se ampiamente inconscia
) selezione. Witehead ha posto che noi "apprendiamo positivamente"
quelle entità che portiamo nel nostro momento successivo, mentre "apprendiamo
negativamente" quelle entità che cancelliamo.
Nel linguaggio di Witehead "sentiamo" l'occasione/realtà
dell'immediato passato. La percezione di "dati ricevuti" da momenti
passati o da ciò che ci circonda ha un carattere "emozionale".
Inoltre, é necessaria una diversa complessità di "apprendimento
di emozioni" per acquistare la potenziale "soddisfazione" di
un'entità concrescente. Perciò, se le persone cancellano altre
persone o mancano di essere aperti per potersi confrontare con loro (un primo
passo verso l'amore), riducono la potenziale pienezza dei loro prossimi momenti,
del loro proprio io in evoluzione. Essere completamente e coscientemente presenti/aperti
agli altri (dal momento che ci conteniamo l'un l'altro relazionalmente a livello
subatomico)--sia nella sfera pubblica che in quella privata-- permette a ciascuno
di prendere parte all'abbondanza dell'universo, alla possibilità di
sperimentare in diversi modi e conseguentemente di evolversi in un essere
più ricco interiormente.
Rimpiazzare la moderna abitudine dell'indifferenza con quella dell'amore significherebbe
anche coltivare l'empatia, la compassione e, per come la mette Buddha, lo
stato d'animo chiamato "gentilezza amorevole." Queste qualità
sono spesso considerate una debolezza o una vulnerabilità nella sfera
pubblica d'oggi, ma credo che riusciremo tutti insieme a scoprire nella nostra
discussione come tutto ciò possa cambiare! Attendo con ansia il nostro
processo condiviso.
Charlene
Spretnak
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"Love could be understood as an openness toward what is other,
and different from oneself, and consequently as a
'method pointer' for the understanding of what public could mean."
I have altered this essential statement from the material Anita sent to me
by inserting the conditional mood: these two understandings of love COULD
come about. The reasons they lay beyond our grasp are rooted in the cultural
history of the West. We abandoned the organicism of the preSocratic philosophers
(and their neolithic predecessors) and arrived at the perception, instead,
of three core discontinuities: that there is a radical discontinuity between
mind and body, between humans and nature, and between self and the world.
No other cultural orientations have imagined these radical breaks -- not Eastern
philosophy, not Native peoples. Because of those foundational assumptions,
we perceive our Western self as a discrete, self-contained entity in a relatively
fixed physical mind-body.
How such thoroughly discrete beings might interact and even love was further
shaped by occurences in early Western culture. Artifacts from neolithic cultures
in "Old Europe" indicate a sense of embeddedness in nature and the
honoring of the female. Once the nomadic tribes migrated from the steppes
into southeastern Europe and Greece, however, the West inherited a thunderbolt-wielding
sky-god (and a desacralized earth), a warrior cult, and a patriarchal social
system. As we all know dismally well, patriarchal socialization trains little
boys to be in control whenever possible (including every conversation), to
hold relationships at arm's length (in order to protect oneself from being
engulfed), and to structure interactions and institutions so that rigid rules
of order and a hierarhical chain of command informs all necessary interactions.
Many men rebel against this cultural inheritance, of course, but it is safe
to say that nearly all women find the public sphere somewhat inhospitable
or unnecessarily odd or even deeply inhumane because it is structured according
to the patriarchal obsessions described above in order to protect the supposedly
isolate self. On this point, two recent surveys in the USA are relevant to
our conversation: one survey found that American women are so disaffected
by the nature of the public sphere that two-thirds of them would like to resign
from their jobs and stay at home; the other survey found that three-quarters
of working women would like to leave the (patriarchal) public workplace! Why?
Because in the spheres of home, neighborhood, community groups, and friendships,
we women are free to construct interactions that are more genuinely relational,
that can be "inhabited by love," as Anita put it. Women are nourished
by such relationships and feel starved without them. Hence the barren, sterile,
anti-relational public sphere has proven to be profoundly disappointing to
women, even when we chose to remain in it for various reasons.
For the supposedly isolate (and ever guarded) Western self -- and here, of
course, the patriarchally conditioned male psyche is taken to be the norm
-- to embrace "openness to what is other and different from oneself"
would be highly unappealing if not frightening and self-endangering. No, the
only way to bring such openness and the relishing of difference into the public
sphere is through radically dislodging the Western ontological and epistemological
error: the notion of the self as Lone Cowboy. Various corrective efforts --
such as spiritual teachings, traditional women's wisdom, ecological wisdom,
and much art and music -- are as old as the problem itself, but as we can
see from looking around today, they seem unable to make more than a dent in
the highly "rationalized" public sphere.
I propose that a fruitful element in our conversation would be an orientation
that resonates with women's profoundly relational experiencing of life and
that would earn the respect of men because it is based on tough-minded science:
the philosophy of Alfred North Whitehead. His observations have become known
as "process philosophy," but he himself called them "organic
philosophy" or "the philosophy of the organism."
Writing in the 1920s, Whitehead realized that the new physics rendered obsolete
both our old mechanistic sense of the fortress self and our sense of a world
composed of discrete entities. The discovery of the subtle and unimaginably
dynamic level of existence consisting of subatomic particles/waves revealed
that all entities in the universe are inherently interrelated. Whitehead based
his philosophy on this insight from quantum physics and asserted that, in
fact, relationships are literally constitutive. His philosophy, he explained,
takes on "the task of making clear the notion of 'being present in another
entity.'"
The new physics -- like the Buddha's discoveries in meditation 2500 years
ago -- reveals that "actual entities" (also called "actual
occasions" by Whitehead) in the universe arise and pass away trillions
of times per second. Whitehead noted that we experience this vast, cohesive
dynamism of the entire universe in our body-mind, but "we analyze in
our consciousness only a minute selection of its details." Actual entities,
including each of us, are "drops of experience" or a "moment
of experience." All the subtle experiences that constituted our immediately
past moment, plus all the experiencing we "prehend" from people
and things and the entire universe, "concresce" into the next moment's
reallity through our creative (if largely unconscious) selection. Whitehead
posited that we "positively prehend" those entities that we take
into our next moment, and we "negatively prehend" those entities
that we shut out.
In Whitehead's language we "feel" the immediate past. Perception
of "received data" from past moments and from immediate surroundings
has an "emotional" character. Moreover, a diverse complexity of
"prehending feelings" is necessary to achieve the potential "satisfaction"
of a concrescing entity. Therefore, if people shut out other people or fail
to be open to experiencing them (a first step toward love), they are reducing
the potential fullness of their own next moments, their own evolving self.
Being fully present to others consciously (since we contain each other relationally
at the subatomic level)-- in the public as well as private sphere -- allows
one to partake of the abundance of the universe and the possibility of taking
in diverse experiencing and consequently evolving into a richer being.
To replace the modern habit of indifference with love would also mean cultivating
empathy, compassion and, as the Buddha put it, the state of mind called "loving
kindness." These qualities are often considered a weakness or liability
in the public sphere today, but I trust we shall collectively discover in
our conversation how all that could be changed! I look forward to our joint
process.
Charlene Spretnak
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