Anita
Sieff
Cosa
può spingere, oggi, una persona con un preciso vissuto dì esperienze
alle spalle (preciso nel senso che è sempre comunque finalizzato e circoscritto
ai dintorni della creatività) a dedicarsi, in modo completamente indipendente
al cinema? Una effettiva urgenza legata ad una necessità espressiva.
Urgenza e necessità espressive che si muovono nel senso dell'amplmcazione
e del completamento. Anita Sieff, tra i tanti impegni lavorativi nel campo
della comunicazione, ha sempre fotografato. Più per sè che per
gli altri, ma sempre con l'idea di andare oltre al dato oggettivo, all'istante
della pur precisa e importante documentazione.
E ad un certo punto della sua vita quell'andare oltre ha significato per lei,
dare una forma il più possibile compiuta alle circostanze che procurano
sensazioni, emozioni, suggestioni, mantenendo però intatta l'attenzione
alta qualità del tramite: l'immagine. Ha imboccato così senza
ripensamenti, come le è tipico. la strada della finzione, dell'invenzione
narrativa comunque lagata alla realtà; scegliendo, ovviamente, la pellicola
del cinema e non il nastro magnetico del video per ragionare, per riflettere
-verrebbe da dire 'al solito' - sui presunti realissimi massimi sistemi: il
rapporto interpersonale che può essere amore ma anche negazione e quindi
solitudine, la quotidianità di vita in insediamenti urbani ora fascinosamente
oppressivi (New York) ora talmente strepitosi da inquinare i comportamenti
(Venezia).
Sono imbastiture di storie di disperati ma mai perdenti quelle che, liberando
una certa scontrosa, introversa umorosità, Anita Sieff lega con attenzione
e perizia formale a precise ambientazioni naturali. Imbastiture di storie nelle
quali una voce fuori campo diventa perfino, indipendentemente dalla qualità comunque
notevole del testo strurneoto consonante di un impianto musicale che si integra
naturalmente con le immagini.
Overtakings (1992), The step (1993) e i due capitoli di Missed (1994) - girati
tutti in un limpido bianco&nero - si configurano in attimi di intensa sospensione,
in frammenti di fredda ma coinvolgente emotività quasi ad indicare sussurrando
invece che gridare il disagio esistenziale della nostra epoca. People never
change (1995) entra, invece, più perentoriamente nella psicologia di
una coppia e, con l'aggiunta del colore, si propone come un giusto salto di
maturità e qualità sul piano stilistico. Rimanendo tematicamente
molto prossimo ai lavori precedenti e implodendo il rapporto con gli elementi
ambientali (qui è l'interno spoglio nel suo eccesso d'eleganza che rarefa
il conflitto dei sentimenti) nella beffarda impossibilità di rapporto.
Carlo Montanaro
Museo Revoltella, Trieste
23 luglio 1996