public access | showcase | campo | production
art | love | nature
abstracts
Hardin Tibbs
Elisabet Sathouris
Mark Pesce
Jennifer Cobb
Liberamente tratto da un articolo di Hardin Tibbs

Il management dell’ambiente globale, una sfida complessa
Le istanze ambientali che l’industria si trova ora ad affrontare non riguardano più semplicemente l’impatto locale di sostanze tossiche: siamo ormai in presenza di effetti imprevedibili di un ambiente globale, e il riscaldamento terreste o il buco dell’ozono sono i sintomi più visibili di una moltitudine di conseguenze avverse. La sfida globale impone un approccio
manageriale e tecnico capace di affrontare i problemi ad un livello globale, nonostante la pianificazione delle aziende sia oggigiorno guidata da istanze individualistiche. In sostanza l’industria ecologica desidera progettare delle infrastrutture industriali che replichino una concatenazione di ecosistemi creati dall’uomo che intersechino l’ecosistema naturale globale.
L’ecologia industriale assume il modello dell’ambiente naturale al fine di risolvere i problemi ambientali, e creare un nuovo paradigma per lo sviluppo del sistema industriale. In questo consiste il progetto "biomimetico" su larga scala, che rappresenta un riorientamento decisivo rispetto alla conquista del mondo naturale (ormai completato) verso una ooperazione con quest’ultimo. Siamo testimoni dell’evolversi di un mondo pienamente industrializzato, con una produzione industriale globale, dei mercati globali, delle telecomunicazioni globali e una prosperità globale. Tale prospettiva conduce ad una attuazione dei modelli correnti di produzione industriale che non potranno sostenere una sicura crescita ambientale su
tale scala senza dimostrarsi obsoleti. La sfida nasce dal fatto che stiamo costruendo un sistema globale artificiale nell’ambito di un sistema naturale preesistente. Non possiamo facilmente dimenticare che l’intero sistema industriale, per funzionare, dipende da un ecosistema naturale e globale che
sia sano. Quando il sistema industriale era ancora limitato l’ecosistema naturale ci sembrava illimitato: abbiamo così considerato il funzionamento del sistema naturale come irrilevante per le nostre operazioni industriali.
Ma la continua espansione del sistema industriale mondiale ci obbligherà a riconsiderare questo punto di vista. La soluzione sarà un approccio che permetta ai due sistemi di coabitare senza minacciare la sopravvivenza reciproca. La natura è indiscutibilmente padrona dei sistemi complessi, e nel nostro progetto di un sistema industriale globale potremmo imparare
molto dal funzionamento dell’ecosistema globale naturale. Molte sono le caratteristiche dell’ecosistema globale naturale che l’industria potrebbe emulare: in natura non esistono “rifiuti”, ovvero cose che non possono essere riassorbite in maniera costruttiva dal resto del sistema. Lo scopo dell’ecologia industriale è di interpretare e adattare la comprensione del
sistema naturale al sistema costruito dagli uomini per raggiungere un modulo di industrializzazione che non solo sia più efficiente, ma anche intrinsecamente basato sulla tolleranza e alle caratteristiche della natura.
L’enfasi è sulle forme della tecnologia che operano in sintonia con e non contro la natura.
Si introduce l’idea che la tecnologia possa essere progettata per una migliore resa sociale e ambientale, poiché sono le decisioni umane che le danno forma o i problemi odierni sono talmente complessi che possono essere risolti solo creando un futuro nuovo. Oggigiorno, nell’ecologia, i fondamenti della comprensione sono in fermento: l’applicazione della teoria
del caos, i principi della socio-biologia e di Gaia, secondo il quale l’intero pianeta, è un organismo vivente, stanno sfidando la concezione che si aveva della stabilità e dell’evoluzione degli ecosistemi. Sta emergendo una visione che guarda agli ecosistemi come a sistemi dall’organizzazione autonoma, dove l’ordine e la complessità sono proprietà “emergenti” e non meri accidenti. E proprio come comunità viventi sono in grado di mantenersi indipendenti rispetto alle specie che li compongono, poiché quest’ultime possono essere in continua evoluzione mentre gli ecosistemi sono a sé stanti.
“Il pianeta coltivato” non è una realtà poi così distante; in futuro la scala delle nostre attività sarà tale (e probabilmente lo è già) che non esisteranno parti del nostro mondo completamente “naturali”, e di conseguenza non sarà più possibile definire gli ecosistemi naturali o la natura stessa come “quel che c’è là fuori”. Dovremmo ridefinire i parametri,
e così pure anche altre dimensioni, di ciò che ha valore in un sistema naturale, così da monitorare e regolare il nostro grado di impatto e poterlo riequilibrare se necessario. La definizione di natura e di qualità ambientale non sarà, quindi, un qualcosa che possiamo dare per scontato, ma una qualcosa che dovremmo formulare grazie ad un atto di affermazione positiva. Sarà questo una sfida culturale e una sfida della conoscenza dell’analisi dell’ecologia, ma sarà vitale per poter creare la miglior interfaccia tra industria e biosfera. Il concetto di ecologia industriale può dapprima sembrare non molto pratico oppure smaccatamente idealistico, ma è sicuramente il modello più plausibile per le sinergie industriali-ambientalistiche del futuro.
Le società leader nel campo ambientale stanno già iniziando a mettere in pratica l’ecologia industriale, e nonostante alcune compagnie non riconoscano esplicitamente questo concetto, ne stanno applicando in realtà gli elementi che lo compongono. La velocità con la quale le società comprenderanno e si dedicheranno a tali norme e valori, ridefiniranno in larga la loro competitività futura.