Anita Sieff
Ordine di Senso
Anita Sieff - La coscienza del vivere
di Chiara Bertola
Quale sentire riconosco nel frastuono della realtà contemporanea?
A quale linguaggio devo prestare ascolto? Che valore hanno le immagini dei
sogni rispetto a quelle della realtà? Quale coscienza riesco ad avere
dell'impermanenza della vita?
Questo il tenore delle domande sollecitate da "Ordine di senso", la mostra
di Anita Sieff pensata e "cresciuta" negli spazi e nella storia della Fondazione
Querini Stampalia. L'artista propone di seguirla su un cammino intellettuale
e visionario che simbolicamente mette al centro i fenomeni che caratterizzano
gli emisferi del nostro cervello - quello destro del sogno, delle emozioni
e quello sinistro della veglia, della logica - per inoltrarsi nell'intimità profonda
dell'io, quindi attraversare le emozioni e giungere alla coscienza soggettiva «molto
spesso addormentata anche se nello stato di veglia».
La mostra si compone di video, di racconti disegnati e scritti, di report
di sogni, di mappe astrologiche, di oggetti, di talismani, di lettere, di
fotografie, di voci, di odori, di suoni, di luce, di rosso e di oro... Ogni
frammento esposto porta a dimostrare come la soglia sulla quale si rappresentano
e animano le visioni del nostro sentire, sia sempre fluida e in costante
trasformazione.
La mostra di Anita Sieff è un'esperienza che avvicina a quel "confine" cui è possibile
avere accesso soltanto a costo di non tenersi nei limiti. Perché questo è forse
quello che ci chiede prima di tutto l'artista: abbandonare il problema dell'orizzonte
unico, per analizzare la frattura, il margine, le trasformazioni, le relazioni.
Andare alle origini, recuperare la Storia, diventa, come sottolinea l'artista, «il
modo per riconoscere la bontà di un piano che ci ri-orienti e conforti
nel farci approdare al nostro destino personale».
Molto del suo lavoro si è nutrito di saperi trasversali, percorsi
occulti e dottrine dimenticate come l'Alchimia e l'Astrologia o di quelle
teorie scientifiche più rivoluzionarie. È sensibile,
per esempio, a quell'indeterminazione su cui si basa la fisica dei Quanti:
un qualcosa (o un qualcuno) s'individua non più nella chiusa e rigida
relazione di causa ed effetto newtoniana, ma tenendo conto di una serie di
stadi di reazione e di condizioni di mutabilità non solo spazio-temporali.
In tale prospettiva una cosa è sopra, sotto, ma anche di lato, dentro,
fuori...
La realtà di fronte alla quale ci pone quest'artista è, infatti,
discontinua, caotica ma soprattutto sempre in trasformazione. È come
una realtà microfisica della quale, nel momento in cui si cerca di
osservarla e comprenderla, sfuggono le regole.
Vivere la realtà non significa essere identificati dai fatti che la
compongono: Sieff ci indica quell'altro modo, centrato sulla consapevolezza
dell'osservatore o del percettore, sullo sguardo che non porta attribuzione.
Da questo punto di vista i fatti sfilano, accadono incessantemente, nascono
e muoiono alla percezione. Diventa evidente, se così viene osservata
la realtà, il principio dell'impermanenza, dell'inconsistenza, della
transitorietà, della vacuità di tutto il manifestato. Anita
entra dentro quest'inconsistenza e la sua mostra è un percorso in
cui tutto viene sospeso per entrare e continuare a trasformarsi in qualcosa
d'altro finché io, riconoscendolo, non gli ho dato un senso.
Così, la narrazione o meglio le narrazioni, i piani sequenza del film
della sua installazione principale, " Ordine di senso ",
sono percorsi da un moto spezzato, secondo cui le immagini non seguono un
fluire lineare, ma piuttosto una proliferazione di tragitti e di direzioni,
in un'apertura continua di prospettive inaspettate e imprevedibili.
Ordine di senso è formata da tre schermi su cui scorrono
le immagini di tre stati della nostra mente: la veglia (l'attenzione, la
logica di un racconto lineare ), il sogno (le apparizioni dell'immaginazione)
e la coscienza (la percezione di sé); in tale rappresentazione l'artista
ha voluto insinuare il sospetto che di questi tre livelli non si riesca mai
ad avere una completa unità, mai la simultaneità dei registri.
Accettando l'impermanenza come principio base dell'esistenza, sappiamo che
possiamo fluire e muoverci con le circostanze eternamente mutevoli della
vita, anche se niente succede mai veramente per caso, ed ogni cosa prova
che ognuno procede per diventare ciò che è. I pensieri, le
emozioni, le azioni, sono sempre lì, in un flusso incessante che scorre
nel presente; le cose che sono accadute sono diventate memoria, ma sono ancora
disponibili, testimoni pronti per ogni comparazione e connessione; quelle
che accadranno sono anch'esse lì, come prefigurazione, desiderio,
sogno, proiezione. Dodici persone camminano avanti e indietro in un enorme
magazzino dismesso. Sono attori, alcuni vestiti con abiti di scena, altri
con l'abbigliamento di ogni giorno. C'e un uomo con un cappello di paglia
e occhiali neri che tenta di imporsi come regista, ma nessuno gli bada. Il
film, come mi rivela l'artista, nasce da un sogno che lei stessa ha realmente
fatto, in cui è dentro un set dove gli attori stanno aspettando
invano il loro regista. Un tema ricorrente nella storia del cinema, ma che
questa volta è usato come pretesto, utile soltanto ad accentuare e
rappresentare lo stato ambiguo tra la finzione e la realtà, per cucire
tempi diversi della storia con quelli del presente. L'attesa degli attori
diventa un felice pretesto che dà loro tempo - la scena si svolge
anche nel Palazzo della Querini - e consente all'artista di risolvere gli
andirivieni tra la storia e la realtà, ad esempio di connettere il
passato con il presente facendo incontrare uno degli attori/Andrea Querini
con il fantasma di Elena Mocenigo sua moglie. In quest'attesa infinita del
regista, gli attori riescono a darsi tempo per "vedere" e mettersi
all'ascolto di qualcosa che non avrebbero mai nè visto nè udito...
Nelle sale del Museo, la mostra di Anita Sieff continua con quattro installazioni
sonore e non è un caso che in una delle stanze ci sia una voce che
insistente e malinconica dica, in più lingue, «hai tempo per
me». Già... darsi tempo...
Riconosco in questo procedere dietro la camera da presa di Anita Sieff, l'insegnamento
del suo maestro, Michelangelo Antonioni, con il quale l'artista ha collaborato
in diverse occasioni e a cui questa mostra è dedicata.
«Per quanto mi riguarda all'origine c'è sempre un elemento esterno,
concreto, non un concetto, una tesi, e c'è anche un po' di confusione,
all'origine probabilmente il film nasce proprio da questa confusione... La difficoltà consiste
nel mettere ordine» (Michelangelo Antonioni).
Ma cosa significa per quest'artista mettere ordine? In un periodo in cui
a scrivere la Storia sono soprattutto i media, riuscire a raccontare la propria
storia significa emanciparsi dall'omologazione e dall'appiattimento che l'informazione
impone disattivando la nostra coscienza; significa formarsi un'immagine capovolta
del potere, smettere di credere che ci parlino di libertà tutti coloro
che oggi vogliono farci dire chi siamo, cosa facciamo, cosa dobbiamo ricordare
e cosa abbiamo dimenticato, quello che non dobbiamo pensare, quello a cui
dobbiamo credere o non credere affatto.
Riscrivere un proprio "ordine di senso" significa, per quest'artista,
darsi la possibilità di un proprio destino, chiedere a ognuno di non
fidarsi dei dati ricevuti e di un unico parametro di interpretazione ma di
dare valore al proprio sentire.
Ecco perché, per Anita, il sentire è il parametro
del contemporaneo. Solo i nostri sensi - quelli del sentimento e dell'intuizione
- danno il tracciato e la mappa su cui muoversi. Un po' come dire: è necessario
fare ordine per poter avere chiarezza.
Anche nell'incontro con l'opera il visitatore può elaborare, portare
in sé e con sé significati diversi, contribuendo
anch'egli a dare un ulteriore ordine al senso delle cose.
Entriamo per esempio nella stanza che contiene Interni . L'opera
nell'angolo a parete è composta da tante piccole tele bianche quasi
a formare idealmente la sagoma di un cervello. Sulle telette sono disegnate
con matita sottile e lieve sagome perlopiù di vasi, ciotole, bottiglie,
contenitori che si mischiano a forme di cervello, carciofi, finocchi, ananas.
Il ritmo pacato della trama fitta delle tele bianche, è acceso ogni
tanto dalla presenza di alcune tele rosse che, incandescenti, catturano l'attenzione
e ci mettono in allerta, percorrendo l'intera superficie dell'opera.
Tutta la grande parete si compone in un caos di immagini, pensieri, sogni,
parole e disegni, dove i linguaggi entrano e si trasformano uno dentro l'altro:
la scrittura diventa disegno e le immagini si riempiono di parole. Alcune
fotografie, poi, segnano non dei punti fermi, ma solo delle indicazioni di
ritmo da imprimere alla sequenza caotica delle figure, al fluire delle lettere
e dei segni.
Ma esiste davvero una divisione e una distinzione tra i grandi discorsi come
scienza, arte, storia... o tra le discipline come poesia, letteratura, pittura,
arte, cinema? Anche queste divisioni, per Sieff, rimangono delle regole normative,
dei modi per istituzionalizzare i discorsi e rivelano come sia necessario
abbandonare i tracciati imposti dalle schematizzazioni. L'operazione di creazione
dell'opera, per lei, irrompe come un evento che smaschera tutte le costruzioni
a priori che sembrano regolamentare e ordinare i linguaggi.
Da sempre l'arte è considerata una forma del narrare, ma vedendo adesso,
tutta insieme, l'opera di Anita Sieff, mi è chiaro come questa vocazione
dell'arte stessa non sia una storia di risposte bensì, piuttosto,
una storia di domande, di echi, di narrazioni incrociate tra culture, memorie,
opere e soggetti diversi.La dimensione della percezione che l'artista attiva
nella sua opera consente quell'esperienza in cui è già inscritto
il racconto di una vita, dischiudendo ed aprendo a nuove possibilità che
il pubblico ripercorre e ridefinisce a sua volta.
Nell'attraversare la mostra si ha la sensazione di essere dentro il fluire
dell'esistenza, e di sentirne tutta la complessità crescere e trasformarsi.
L'artista restituisce quel gigantesco affresco entro cui la vita di ognuno
emerge ogni volta dai diversi stadi del sentire cosciente, reale e del sogno. È come
una grande narrazione in cui ognuno ha la possibilità di definire
la propria identità personale; un'identità che si costruisce
al margine tra la scoperta e l'invenzione.
Situazioni della vita quotidiana: riconciliarsi con il presente
John Peter Nilsson
Nei progetti di Anita Sieff c'è un'atmosfera di malinconia. Ma non una malinconia
deprimente o nostalgica. Proprio il contrario: parlano di hic et nunc .
Ritorna spesso il concetto di tempo, ma il qui e l'adesso hanno un passato
e un futuro. Vivere con il passato e cercare il futuro richiede un equilibrio
tra sogni e realtà, tra le infinite possibilità del mondo interiore e i fatti
e le cifre dell'esterno.
I suoi film, in particolare, ritraggono personaggi invischiati in relazioni
complicate, al tempo stesso legati e alienati gli uni agli altri. Con allegra
consapevolezza di sé, Sieff esplora le complessità della comunicazione umana,
sia essa tra il reale e l'irreale all'interno di sé, o nei rapporti con gli
altri. Dietro la nostra presenza fisica ci sono abissi invisibili di paure
e speranze immaginarie. Quelle che Anita Sieff mette in scena sono, a mio
parere, piattaforme riflessive utili a lei e a noi per capire perché viviamo.
Durante il periodo Classico si scoprì che le persone diverse possedevano
quantità differenti di liquidi corporei e che un eccesso di bile nera induceva
a un temperamento eccezionalmente riflessivo. Nell'interpretazione di Aristotele: "tutti
gli uomini veramente fuori dell'ordinario, si distinguano essi nella filosofia,
nell'arte di governo, nella poesia o nelle arti, sono malinconici – alcuni
di loro al punto di soffrire dei malesseri causati dalla bile nera." ( Problemata,
xxx, 1, 350 a.C.)
A Firenze, il pensatore neoplatonico Marsilio Ficino si rifece alle categorie
aristoteliche nel suo De vita triplici (1482-89). La Chiesa aveva
stigmatizzato la malinconia come una malattia mentale, ma Ficino chiamò in
causa l'astrologia, da poco scoperta, per affermare che i nati sotto l'influsso
del pianeta Saturno sviluppavano un particolare temperamento. Nel corso del
Rinascimento,le affermazioni di Ficino furono accettate perché solo il temperamento
malinconico si adattava alle idee di Platone sull'entusiasmo creativo.
Da allora, il concetto di malinconia è andato di pari passo con la creatività
artistica. L'artista vede qualcosa che un'altra persona non vede o, meglio,
l'artista si misura con l'idea di transitorietà. Nel Romanticismo,
attorno a questo artista malinconico si sviluppò il culto del genio. La distanza,
il sapere e la riflessione consentono all'artista di non cadere nel panico
o nella disperazione di fronte all'incomprensibile o all'ignoto. Al contrario,
l'idea di assenza e di transitorietà genera il desiderio paradossale di creare
presenza e vita. Questo, pensava Freud, è il matrimonio necessario e armonico
di Eros e Thanatos. Secondo lui, le persone inventano artifici di vario genere
per scongiurare le proprie angosce legate al passare del tempo.
L'arte moderna dei primi del Novecento vede una testarda affermazione di
questa idea di transitorietà. Ma c'era spazio per la riflessione o per la
distanza? Nel complesso le persone concorrevano a creare una vita moderna
in cui il tempo non era solo denaro, ma anche una mancanza. Una mancanza
nevrotica. "Riti di passaggio – così sono dette nel folclore le cerimonie
connesse alla morte, alla nascita, al matrimonio, al diventare adulti ecc.
Nella vita moderna questi passaggi sono divenuti sempre più irriconoscibili
e impercettibili. Siamo diventati molto poveri di esperienze della soglia," scrive
Walter Benjamin in Das Passagen-Werk (1927-40).
Anita Sieff nelle sue opere non illustra dei “riti di passaggio”. Nelle
fotografie, film, installazioni video o sonore mette in scena, piuttosto,
delle situazioni di soglia e lo stesso vale per le sue azioni dal vivo. Svincolate
dai generi, non sembrano seguire nessuna logica narrativa specifica. A Sieff
non interessano specificamente i collegamenti casuali. Le interessano le
persone, la mente umana e la comprensione a volte illogica che essa ha del
mondo e di sé. Le persone parlano, ma anche le lacune e i balzi improvvisi
del pensiero sono importanti. Anche il silenzio è un ritmo.
Nella celebre composizione musicale di John Cage 4'33" il pianista
va al pianoforte e per quattro minuti e 33 secondi non tocca nessun tasto.
Si sente tutto, tranne la composizione. Si sente il pubblico che sospira,
sbadiglia, bisbiglia… si sentono i rumori tipici della sala da concerto,
la strada all'esterno… Il pianista non ha alcuno spazio di interpretazione,
se non quello di tenere d'occhio il cronometro. Ciò che si sente è
il frutto del caso. Non si sente ciò che è stato scritto dal compositore.
Di fronte alle opere di Anita Sieff penso spesso a John Cage e alla sua particolare
interazione tra casualità e solitudine. Penso anche che le sue opere hanno
molto in comune con la città di Venezia e le sue incredibili, particolari
circostanze. In una lettera al compositore Peter Gast (Rudolf Köselitz) scritta
nei primi anni '80 dell' Ottocento, Friedrich Nietzsche scrisse: "Cento
solitudini profonde che si ritrovano formano Venezia. Da qui la sua magia.
Un simbolo per gli uomini del futuro." È una descrizione tragicamente
bella di Venezia. Una città dove individui soli possono vivere insieme. Ma
anche una città in cui perdersi, salvo poi scoprire all'improvviso di essere
di nuovo al punto di partenza.
Nel capitolo intitolato “Camminare per la città” in L'invenzione del
quotidiano (1980, trad. it. 1990) Michel de Certeau scrive: "l'operazione
di camminare, del vagare o del "rimirare le vetrine", ovverosia
l'attività dei passanti, è trasposta in punti che compongono su un piano
una linea totalizzante e reversibile. Resta così soltanto una reliquia, posta
nel non tempo di una superficie di proiezione, che pur se visibile ha per
effetto di rendere invisibile l'operazione che l'ha resa possibile. Delineando
un percorso si perde la memoria. La traccia si sostituisce alla pratica.
E manifesta la proprietà (vorace) del sistema geografico di poter trasformare
l'agire in leggibilità, facendo però dimenticare un modo di essere al mondo.”
(pp. 150-151)
Venezia è una città fatta per camminarci. Camminare è come una metafora del
trascorrere del tempo. Ma camminare è un moto del dimenticare? È pure un
moto della memoria, del ricordo? È una cosa e l'altra. È uno stato oltre
il tempo e lo spazio. È qui e adesso. Noi ci lasciamo qualcosa alle spalle,
ma siamo diretti da qualche parte. Oppure, come riflette Joseph Brodsky nel
suo libro Fondamenta degli incurabili (1992) il moto dell'acqua
è un emblema del fluire della vita. L'uno si confonde nell'altro. Quando
qualcosa muore, qualcos'altro nasce. Come Venezia. All'improvviso il mondo
esterno alla città cessa di esistere. Io mi avvicino a me stesso. Sono più
prossimo alle persone e ai luoghi che incontro. Mi ritrovo coinvolto in un
flusso di avvenimenti. Non riesco a separare il reale dall'irreale …
A prescindere dal contesto in cui opera, Anita Sieff crea la sensazione di
trovarsi in un qualche tipo di moto - un moto mentale, spirituale. Ancora
una volta, il tempo. Si parla del modo in cui le persone, o meglio i pensieri
e le emozioni, entrano in rapporto e interagiscono tra loro. La sua malinconia
è bellissima. È anche etica. Il mio corpo è la mia prigione, ma la mia anima
è libera. È nello spirito della comunione che condivido la mia anima. Anita
Sieff crede fermamente nell'energia creativa delle persone che si uniscono.
Puoi non essere felice, ma se accetti il qui e l'adesso, se provi fiducia
nei confronti del tuo prossimo, anche a te sarà data fiducia.
Nel Secondo Manifesto del Surrealismo (1929), André Breton scrive: "Tutto
porta a credere che esista un punto dello spirito da cui la vita e la morte,
il reale e l'immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l'incomunicabile,
l'alto e il basso cessano di essere percepiti come contraddittorii. Ora,
sarebbe vano cercare, alla base dell'attività surrealista, altro movente
che non sia la speranza di determinare questo punto."
Anita Sieff è una surrealista sui generis, ma nella sua pratica artistica
si riflette la possibile identificazione di quel punto. Sullo sfondo del
mondo contemporaneo e di una esistenza sempre più fugace, la sua è una missione
importante. Anita Sieff non è alla ricerca di una verità universale, piuttosto
combatte deliberatamente contro l'esistenza spettacolare e sensazionale del
presente, e la sua arte è in netto contrasto con le stupidaggini dei media
popolari. Anita Sieff è alla ricerca del personale nel pubblico.
Prove di una “drammatica”
di Stefano Coletto
Quello che colpisce dei lavori di Anita Sieff sono i tentativi di una “drammatica”
che attraversa l’esperienza artistica quando questa si muove in stretta connessione
con la vita; se esperienza artistica significa ricollocare e rinarrare le
persone, i luoghi, le forme del proprio esistere, l’arte della recitazione
e delle istruzioni sulla recitazione diventa un campo di forze in cui si
gioca questa pratica.
Tuttavia il gioco è complesso; studiare una “drammatica” per la propria vita,
in cui quindi il sé che costruisce la regia ricade sempre nello spazio che
deve determinare, nella temporalità del film che deve editare, significa
trovarsi all’interno di due condizioni radicali.
La prima mette in discussione la possibilità di un insieme di regole recitabili
che sia esente da tensione, in quanto solo per tentativi si può costruire
una rappresentazione della vita da un punto di vista interno alla vita stessa;
quindi “veglia”, “sogno”, “coscienza” sono i tre livelli di visione che sconquassano
ogni recita e rappresentazione.
La seconda è collegata al senso della parola ‘“drammatica“, da “dramma“,
che signica in senso etimologico “azione”; il vivere in questo senso è la
collezione di tutte le nostre azioni e dei nostri drammi, appunto, che si
rincorrono, che tumultuosamente emergono dal nostro io, oppure che lo travolgono
ogni giorno come ogni micro evento biologico che agisce sul nostro spazio
psichico.
Per questa ragione, le corrispondenze tra un soggetto che agisce e si relaziona
in ogni istante al mondo esterno sono tali che nessun film può tenerle insieme,
come nessuno può sedersi senza corpo e senza azione per assistere alla ricerca
di un Ordine di Senso mai rappresentabile radicalmente, perchè una rappresentazione
rin-tracciabile tanto più è conclusa tanto più è astratta.
Un soggetto immerso e un soggetto diffuso, ancora “sogno”, “veglia”, “coscienza”
che diventano disegni, oggetti, luci, che parlano di questo di tre livelli
correlati e irresoluti e di questi tentativi di fissare una cornice di spazio,
di tempo, in cui il senso naufraga sempre nei rimandi continui.
Certo è difficile l”ordine” nel balbettio della narrazione che genera avvolgenti
brusii, che sono le tracce di forze che emergono: suoni, voci, musica, strutture
temporali in sviluppo che rendono le vibrazioni dell’aria e si liberano nello
spazio, raccolgono la nostra temperatura emotiva senza mai misurarla.
Questo accade perché anche nei ritagli musicali la “drammatica” non si chiude,
non esplicita le regole ultime e fallisce sempre, perché deve necessariamente
fallire se l’impulso che la genera è autentico. Il dramma più ardito e intenso
si libera della costruzione formale e della recita imposta per aprire uno
squarcio di autenticità e presenza: il pianto infrange l’equilibrio della
musica di Mahler, come molti lavori che, coraggiosamente franti, liberano,
pronunciano la loro intermittenza di senso.
Solo il desiderio può questo, perché è il desiderio di trovare un senso che
ci porta a leggere, a cercare la “drammatica” della narrazione. Un desiderio
che si costituisce come dimensione esistenziale e relazionale che appunta,
annota, traccia, segna, ci porta a immaginare e disporre oggetti, ad accumulare
registrazioni, note, mai archiviabili, sempre rivissuti per cercare di trattenerli
prima della loro sparizione nelle immagini.
Credo che per Anita possa esistere una drammatica impossibile del desiderio.
Ordine di Senso
di Giulio Alessandri
Non è facile definire la tipologia della mostra “Ordine di senso” che
Anita Sieff propone nei diversi ambienti della Querini Stampalia.
Mostra Antologica: rassegna di lavori diversi raggrumati per ordine di senso
libero. Retrospettiva: puntuale ricucitura del passato, trama di tempo, tempo
rinvenuto e reinventato alla luce del presente. Rassegna contemporanea costruita
sul filo di un assoluto presente con molti lavori inediti, specifici e causati
dall'evento e dai suoi spazi. I tre livelli si intrecciano a definire la
trama del progetto.
Sollecitata dalla curatrice Chiara Bertola e dal suo interessante programma
“Conservare il futuro”, nel quale l'arte contemporanea intercetta il passato
nei luoghi storici del museo per poi raccogliersi al terzo piano nelle sale
dedicate al contemporaneo, Anita Sieff ha costruito una mostra a trama multipla,
a scrittura complessa, che potermmo definire circolare. Diversi infatti sono
gli ordini di senso che aprono chiavi associative multiple intorno agli interessi
storici dell'artista quali coscienza, veglia, sogno, relazione, osservato/osservatore,
percezione, pubblico, l'ambiguità del reale, creazione di realtà, Weltanschaung,
(fare mondi direbbe Birnbaum); ordini di senso che continuamente ritornano
nicianamente a configurare figure dell'eterno in permanente disfacimento..
Si formulano così ipotesi d'esistenza che si realizzano (verrebbe voglia
di dire si compiono) di volta in volta nella forma evento del rapporto tra
individuo/Autore e moltitudine/Mondo. Mondo che diviene di volta in volta
nella sua forma relazionale: l'Altro, il Pubblico, lo Spazio, l'Osservatore,
la Società, etc. Per indagare questa complessa trama relazionale Sieff utilizza
dei dispositivi di senso diversi che tendono a circoscrivere differentemente
la scrittura nella sua olistica circolarità.
Il video, in Public 2006, videoinstallato in Ordine di senso 2010,
pellicola riversata in digitale in Dislessica. La forma non informa 1999-2010,
sembra dotare Sieff di uno sguardo professionale assimilabile a quello del
regista. Ma una regia consapevole come quella di Anita conosce il dramma
Wendersiano del conflitto/complicità tra le immagini ed il reale, conosce
la complessità di percorsi creativi coautoriali o partecipati dove l'attore/
autore emancipato si svincola dalla regia ed irrompe sulla scena dell'arte
con la propria verità, conosce l'espulsione drammatica dal reale, la sua
messa a nudo, dove la macchina da presa da dispositivo inclusivo diviene
esclusivo, trasformando il regista in un voyeur, figura mancata e separata
dal mondo, che si realizza solo attraverso il desiderio o il sogno, si veda
al proposito anche l'Etant donnés duchampiano. Ma Anita conosce
anche altri dispositivi di senso capaci appunto di produrre altri ordini
di senso. Conosce attraverso le istallazioni Cicaleccio 2010 ,
La luce modifica la coscienza 2008, Coppia 2004,
come la materia del reale possa diventare reale attraverso il reale stesso
(because everything is already made). Un reale sinestetico, a volte fenomenico,
a volte in dissolvenza, a strati differenti d'esperienza, a strati differenti
di coscienza amerebbe dire l'artista. Installazioni sonore e readings poetici
intercettano lo spettatore nel silenzio della forma. E poi infine disegni,
scritture, tele bianche, appunti, schizzi, progetti, note e altro a dire
della circolarità dell'esperienza del processo creativo in andata e ritorno
nel tempo e nello spazio. Dalla forma all'informe in andata e ritorno. Quell'instancabile Solve
et Coagula che ci migliora e con il quale negoziamo di continuo la
ns esistenza in forma e vento.
Domande e stupore
di Giovanni Rizzoli
Anita Sieff ha presentato presso gli spazi della Fondazione Querini Stampalia
un'esposizione di video opere e disegni. Questa esposizione lascia sulla
pelle di chi l'ha fruita quel sentire che Venezia e soprattutto una Venezia
estiva può lasciare a chi, in una estate umidissima calda e assolata, si
metta a voler cercar se stesso, sia egli un turista o un abitante. In una
voragine di tracce di rimandi di annotazioni di manipolazioni ma principalmente
di immagini e di suoni Anita Sieff ci traghetta in un piacevole inferno fatto
di noia di emozioni sottili di un piacere più subito che pienamente goduto.
Il suo è un "neoesistenzialismo" ma che non ha compiacimento,
un modo di esprimersi attraverso un racconto estetico ma sincero, necessario
ed emotivo quasi una confessione di una segreta condizione umana, sua e di
una generazion che ancora si pone delle domande e vive in uno stato di stupore.
Lettera
di Carlo Pizzati
Cara Anita,
"Ordine di senso" è ancora meglio di quanto mi aspettassi.
È difficile e ostico da seguire, come la vita.
Poi, se hai la pazienza di capire, entri nell'opera vera e propria, ti lasci
trasportare da quella stessa alienazione creata nell'accavallarsi di immagini
e parole, come in un confuso flashback, e piano piano, con calma, scopri
il filo, anzi i fili, e leggi la trama sull'altro lato del tappeto: vedi
le tre narrative e le capisci.
Superato l'ostacolo, giustamente posto, della difficoltà di prima lettura
a uno sguardo e un ascolto troppo viziati dalla plastica facilità della comunicazione,
si è avviluppati dal mondo di Anita e dal suo racconto, sia nell'incontro
onirico-fantasmico tra i corridoi del Querini, sia nella lunga attesa filosofica
della regia che non c'è, finanche nel lungo disvelarsi del confessionale
zodiacale sulla sinistra del nostro cervello.
La realtà e i messaggi così abilmente tessuti nella vernice di queste indagini
si presentano a chi guarda con ancora più capacità di penetrare nella percezione,
di quanto non ci proponga quotidianamente la melassa stucchevole dell'autoracconto
televisivo/internettiano che sazia oltre ogni capacità di sopportazione la
nostra iconofagia.
Il Cicaleccio regala poi un respiro diverso, una Sieff quasi boschiva e vicina
a un cielo non più astrologico ma astronomico. In quella stanza si viene
risucchiati oltre quel dialogo di coscienze che procede là fuori.
Poi c'è quella nostalgica gouache in 8mm, tra il bianco e nero di un amore
che si rincorre su diversi schermi, piccole finestre vitree che si animano
di struggente spleen per ciò che non è più e che forse è così intenso e così
dolce proprio perchè è fatto di quella materia di cui son fatti i sogni.
I tuoi bicchieri. Che ridere. Ti ho vista, dopo una delle tue cene considervolemente
etiliche, che cerchi di agguantare il calice che pare cambiar forma per ballare
il twist con le tue mani e sfuggire, piegarsi su un fianco e poi l'altro.
E l'illuminazione dell'artista che poi decide di raffigurare proprio questo.
Sarà un'interpretazione da valdagnese, ma mi è piaciuto concepirli così,
quei 'bicieri imbriaghi'.
E tutto scorreva in armonia, dai tuoi neon tedeschi che rincorrono il tempo
nel soffitto di casa tua, alla voce che chiede "Hai tempo per me?".
Credo sia un trionfo della tua carriera di artista. Capito o meno da qualche
oliva bollita di un achille o da qualche germanico cielo, che importa? C'è
e c'è davvero.
Insomma, brava.